Stefano Staro,
docente di Musica presso l'Istituto Comprensivo Statale Est 1 di Brescia

14 nov 2020

Oltre il confine

OLTRE IL CONFINE, ESPERIENZE MUSICALI DELLA CONTEMPORANEITÀ
4/13/2009
Comunicazione sulla musica contemporanea
Liceo Ginnasio Arnaldo - Brescia 2009.
Pubblicato su Brescia Musica n. 114 Aprile 2009
Il titolo di questa comunicazione suggerisce che, con l'ascolto e con la riflessione, vogliamo lasciarci condurre, per mezzo di esperienze musicali della contemporaneità, oltre i confini dello spazio, del tempo, e, probabilmente, anche oltre i confini della musica.
Per qualcuno non sarà politicamente corretto, ma, devo ammetterlo, questo intervento alla vostra schola ludens è un intervento a tesi.
E la tesi è la seguente: la musica del presente è musica non da comprare, non da scaricare, non da consumare, non è neanche musica da ascoltare, ma è essenzialmente musica da fare.
Per perseguire questo obiettivo ho scelto di parlare non di musica elettronica o di musica del mondo o di informatica musicale o di sound design o di post-rock o di noise, funk, avant garde o di qualunque altro tag che si possa trovare sui siti di recensioni, di streaming o di vendita di musica on line.
Ho chiesto anche un vostro contributo: di idee, di opinioni, di musica, ispirandovi anche solo al titolo di questo incontro.
E per questo le mie proposte di ascolto non sviluppano un tema specifico, temporalmente, stilisticamente o storicamente determinato; non propongo brani selezionati per documentare una lezione, che so, sulla musica aleatoria, o sulla musica elettronica; ma due, tre opere che fanno da filo conduttore per un discorso sulla musica del presente che spero di poter confrontare con voi.
4'33''
Non posso che iniziare dai 4'33'' di John Cage che, se siete qui, probabilmente conoscerete, e, siccome lo conoscete, saprete come parteciparvi.
(Il brano viene interpretato da quattro studenti che, al tempo prescritto, cambiano posizione, interpretando la forma tripartita dell'originale, con la finestra e la porta dell'aula aperte)
Ebbene la vostra partecipazione e la partecipazione delle campane che a distanza hanno suonato, del brusio e del rumore dei passi nel corridoio, i vostri movimenti sulle sedie e i vostri sommessi scambi di opinione le espressioni che abbiamo sentito, ci dimostrano che ogni esperienza di ascolto è unica, propria, che ci mette in comunicazione con il mondo, con l'infinitamente piccolo del nostro intimo, con l'infinitamente grande di ciò che è fuori di noi.
In una camera anecoica avreste ascoltato il suono del vostro sistema circolatorio e del sistema nervoso; ma per fortuna il mondo non è una camera anecoica.
In principio non è il silenzio, ma (voi che frequentate studi classici ben lo sapete) in principio è il caos. Anche in musica. Come Michelangelo con il suo blocco di marmo, anche il musicista di oggi plasma una materia che già al suo interno contiene la forma che attende di essere comunicata. Anche il musicista, la prima cosa fa, è mettersi in una disposizione di ascolto attivo.
Poeme electronique
La musica sperimentale e di avanguardia, non da oggi, ma da almeno un secolo, si è proposta di liberarsi dalle pastoie di vincoli formali, di ampliare la nozione di tempo incupendosi in deliri ritmici o allontanandosi da ogni scansione metrica che ci restituisse una sostanza del tempo.
Ha arricchito la nostra nozione di spazio, sia che fosse spazio euclideo, disegnandone i confini con i suoni, disposti variamente negli ambienti; ha rivelato con i suoni, l'interiorità dei suoni dell'individuo, la natura intima dello spazio domestico, la ragione estrema dello spazio urbano.
Ha indagato anche lo spazio non euclideo proponendo curvature impossibili a cogliere se non con algoritmi di calcolo al di fuori della portata dei sensi.
Nella nostra piccola esperienza quotidiana, sappiamo che da quando Sony ha inventato il walkman la musica è diventata complemento dei suoni del nostro cervello. Al contempo la musica prodotta dai nostri cervelli di musicisti è diventata musica per walkman, per teste chiuse all'interno di uno spazio e di un tempo assente - non c'è spazio e non c'è tempo senza relazione.
Ma voi non trovate curioso vedere i ragazzini che ascoltano musica prendendo un auricolare per uno: non vi siete chiesti che cosa sentano in realtà? Quale spazio sonoro si formi nella coppia: che cosa completi l'esperienza acustica: l'altro che ascolta con te, l'ambiente che invade l'altro orecchio, il suono stereofonico zoppo dell'ultima hit di successo?
Ma prima, molto tempo prima, che la musica invadesse fisicamente il nostro cervello, con le cuffiette del walkman o dell' ipod o con i megawatt della techno da discoteca, si è pensato di costruire uno spazio che fosse sinestesicamente pervasivo.
Mi piace quindi contrapporre alla massima indeterminatezza di John Cage, la massima determinazione del Poeme Electronique di Edgard Varese – Yannis Xenakis, che insieme a Le Corbusier costruirono uno spazio in cui l'esperienza acustica era tutt'uno con l'esperienza visiva, di posizione, di movimento, di spazio. La musica nel Poeme electronique non esiste, come non esiste l'architettura o l'arte visiva: esiste l'individuo che anima con la propria presenza uno spazio del tutto artificiale, improbabile, ma concreto e reale per quanto inverosimile.
Lo spazio e il tempo si smaterializzano nell'esperienza dell'individuo che lo agisce.
Purtroppo l'ascolto, in questo caso non è che un pallido richiamo di quanto è stato realizzato nel Padiglione Philips all'esposizione universale di Bruxelles del 1958.
Poeme electronique: 350 altoparlanti che producono un suono instradato sulla superficie curva e concava del paraboloide di Le Corbusier. L'ascoltatore si muove e partecipa del suono come partecipa dell'architettura e dello spazio. La musica non è ascoltabile al di fuori dell'ambiente per cui è stata pensata e realizzata; l'ascoltatore fa propria l'esperienza musicale: esperienza singola, univoca, irripetibile
Per trarre qualche informazione utile da questo e come dagli altri ascolti di musica contemporanea non c'è che da tentare una ricodificazione esterna; la stessa che faremmo con la lettura di un brano di una tragedia di Eschilo: ne conosciamo la storia, a fatica riusciamo a comprendere il codice linguistico e il senso che esso veicola, ma non possiamo percepire il complesso di significati che l'ambientazione, la messa in scena, le inflessioni vocali, le maschere, il clima, il contesto potevano produrre.
Una vera esperienza estetica difficilmente possiamo provarla avvicinandoci a qualsiasi opera nata per uno spazio e un tempo definito, come è stato il Poema Electronique e com'è per la maggior parte delle opere contemporanee che nascono, si concretizzano e muoiono per uno spazio, un tempo un'occasione unica e irripetibile.
Sembra un controsenso, ma proprio nell'epoca della massima riproducibilità dell'opera d'arte, i musicisti di oggi propongono musica che trova il suo senso in esperienze uniche e irripetibili.
Ascoltando da un cd o un ipod possiamo, forse, arrivare a cogliere il senso di un'opera musicale contemporanea sul piano intellettuale, ma non possiamo pretendere di provare una reale esperienza estetica, salvo che l'opera non sia stata concepita per l'indeterminazione di una particolare esperienza di ascolto.
Music for public rail
Girovagando per internet capita di imbattersi in proposte di produzione musicale, che vanno in questa direzione e che mi paiono interessanti. Benjamin Chaffee, ad esempio realizza un brano perchè sia ascoltato sul proprio ipod, lungo la corsa di un treno della metropolitana di New York, la linea L.
Lo swing del treno, che tanti musicisti ha ispirato, qui è parte integrante di una composizione che tutti hanno la possibilità di esperire, ma solo prendendo quel treno e compiendo quel tragitto. L'esperienza ancora una volta si concretizza con la sinergia di tre fattori: l'ascoltatore (che attiva il proprio ipod, si muove ed è mosso nello spazio), il treno e il compositore, ognuno può fare di quell'esperienza un'esperienza unica e ogni volta diversa.
“A rainbow in curved air” (1969)
"Bisogna essere molto coscienti dell'azione che il suono ha su di noi, il modo secondo cui ci influenza. Non dirsi: faccio questo esperimento perché è nuovo, ma vedere quale effetto esso ha su di noi, dentro di noi. Chi fa musica ha una responsabilità, perché fabbrica le vibrazioni. E' come fabbricare un prodotto chimico, un profumo. I musicisti hanno questa responsabilità: trovare come fare le migliori vibrazioni possibili".
Sono parole di Terry Riley: di cui vi propongo “A rainbow in curved air” (1969)
l'opera che molti considerano il suo capolavoro e che ha influenzato musicisti, anche di ambito rock come: i Soft Machine, i Tangerine Dream gli Who che gli dedicarono il brano Baba O' Riley ( nell'album "Who's Next)".
L'opera lascia il segno di un piacere sereno, forse un po' nostalgico e onirico, ma che non inganna e che invita a perdersi, e a trasformare un'esperienza di ascolto in un'esperienza del tutto personale.
Da Riley sono passati quaranta anni e, da allora, ci si è deliberatamente proposti non solo di giungere alla rottura dei confini dello spazio e del tempo, ma anche dei confini della musica e dei modi canonici del fare musica. Lo strumento principale per questa rottura è stata l'improvvisazione, il chiedere la partecipazione del pubblico alle performance musicali, amplificando la relazione fra musica e gesto, togliendo il musicista dal teatro e dalla sala da concerto, scaraventandolo giù dal palco e rendendolo uno fra i tanti che riempiono lo spazio geometrico e lo spazio acustico di una performance.
Questo tipo di ricerca oggi ci può sembrare oltre che datata, accademica, relegata nel chiuso di dipartimenti universitari, ma non è così: l'arte si muove, la necessità di cercare nuove vie espressive coinvolge coloro che lavorano con i suoni a quasi tutti i livelli: Sonic Youth, una band post punk, noise rock o come diavolo la si voglia definire, credeva nella musica improvvisativa, anche nelle proprie performance, e, nel 1983 durante un proprio concerto, rivolgeva i microfoni verso il pubblico e interveniva sul suono prodotto. Il risultato, registrato e introdotto nel disco ci riporta alla musica concreta, casuale ma unica e solo apparentemente al di fuori di qualunque forma data.
E torniamo a John Cage
Notizia del 3 febbraio 2009, appresa dal blog del musicista Daniel Wolf: chiude il Rose Art Museum della Brandeis University. Poco ci importerebbe se non fosse che in quel luogo nel 1965, John Cage in un memorabile happening, proponeva Rozart Mix, in cui fino a 88 tratti di nastri registrati erano eseguiti in loop simultaneamente.
Nel 1965, per il suo Rozart Mix, Cage utilizzava elementi strutturanti oggi nella cassetta degli attrezzi di qualunque musicista come il loop ma proponeva soprattutto una totale indeterminazione della durata dell'opera. Si sviluppano due concetti fondamentali per la musica di oggi: l'impiego di procedimenti compositivi basati sulla casualità e l'utilizzo massivo di materiale musicale pre esistente, non composto o elaborato ad hoc.
La liberazione dell’individuo anche qui si incanala verso una responsabilizzazione degli esecutori e del pubblico, non più obbligati a eseguire alla lettera partiture predeterminate, né ad ascoltare passivamente una musica. Cage predispone l’individuo, come se stesso, verso una posizione di ascolto e di accoglimento dell’evento sonoro nel suo accadere e fluire. Per questo scopo indebolisce progressivamente “l’autorità dell’autore”, attivando nel contempo l’autorità degli esecutori e del pubblico.
“Sono gli esecutori che scelgono di essere uno o venti pianisti in Winter Music (1957) o decidono quali materiali su nastro magnetico utilizzare per Rozart Mix (1969). Se la ‘democrazia’ dei rumori di Cage. ha radici nell’avanguardia musicale ( Erik Satie, Edgard Varèse, Ives, Russolo) e artistica (Duchamp), alla base della sua ricerca pone una formazione interdisciplinare, per esempio, la filosofia di Ludwig Wittgenstein ( tra le altre cose, assertore della critica del concetto di “causa” e quindi di “necessità”), le letture di Laforgue, Mallarmé, Joyce, Eliot, Robbe-Grillet, che lavorano sull’idea di una “lingua destrutturata” adatta a rappresentare gli eventi casuali che interagiscono con l’esistenza umana”.
(Francesca Morelli, Corso di teoria e tecnica del contemporaneo, Accademia di Belle Arti di Napoli)
Sulla scena della musica lontana dalle accademie si collocano artisti che dal rock o dal jazz hanno ripreso, allo stesso tempo l'energia dell'espressione immediata, evocativa di un'interiorità che come tale si presta ad essere comunicata e condivisa, e della ricerca libera e svincolata dagli schemi.
E' il caso ad esempio di un gruppo di artisti, dallo spirito anarcoide, che, superandolo, integrano nella loro espressione la complessità, per noi difficilmente accessibile, oltre che dell'avanguardia occidentale, della cultura e della trasgressione giapponese
OoiOO – giappone (Taiga - 2005)
Nell'album Taiga i brani sono o sembrano lunghe ed eteree improvvisazioni, di cui a fatica si coglie la fine e che chiedono all'ascoltatore di essere completate.
“in Grs una Yoshimi versione sirena, in attesa del primo Ulisse che passi, ulula alla luna mentre la batteria imita le ondate della marea “ (www.sentireascoltare.com/CriticaMusicale/Monografie/OOIOO.htm). Percussioni, voci improbabili, qualche suono familiare, qua e là, ma soprattutto una musica che chiede incessantemente di essere completata da chi ascolta.
L'Art Ensemble of Chicago è un gruppo jazz di avanguardia sviluppatosi dalla AACM di Chicago alla fine degli anni '60. Nonpstante la morte di due dei membri fondatori, il gruppo è ancora attivo nel 2006, e recentemente, l'associazione per la creatività della musica afroamericana di Chicago ha gioito come tanti per l'elezione di Barck Obama, sperando, forse, che si possa rinvigorire quel flusso di attenzione (e di finanziamenti) per una musica mai morta.
I concerti dell'Art Ensemble, per chi ha avuto la fortuna di vederli (incredibile! sono venuti anche a Brescia negli anni '80, quando qui non capitavano solo i decotti del mainstream commerciale) sono caratterizzati visivamente dall'uso di costume e pitture facciali e corporee, con artisti che suonano di tutto, oltre che i classici strumenti del jazz, campanelli da bicicletta, campane, e una grande quantità di strumenti a percussione ricavati da ogni tipo di oggetto.
I temi musicali sono proposti, stravolti, riemergono da chissà dove e ognuno, dal vivo, non può che farli propri, riecheggiarli nell'intimo in un'esplosione di suoni interiori ed esterni.
Ascoltarli su disco o è un occasione di studio antropologico o è un abominio.
Crimson Grail di Rhys Chatman
Quattrocento chitarre elettriche intonano un inno alla musica eterna. Quattrocento chitarre elettriche sulla scalinata del Sacro Cuore di Parigi, la notte del primo ottobre 2005. Una maratona sonora di 12 ore da cui sono stati tratti i 56 minuti e rotti di questo "A Crimson Grail", nuovo vagito del gigante Rhys Chatham padre di Glenn Branca e nonno dei Sonic Youth.
Il rumore della folla (diecimila persone circa) accoglie, poi, il sopraggiungere del terzo movimento, la cui potenza sommersa spazializza l’incanto, insieme stupefatto e timoroso, che la musica induce ma senza farci violenza. Proviene da un luogo in cui è già da sempre e per sempre, questa musica. E’ immobile, ma intimamente scalfita dalla tensione al divenire: impercettibile ma ineludibile. Così, dinanzi al colossale stormo di note sospese, restiamo come accecati da qualcosa, senza conoscerne il senso ed il perché. Forse, chissà, è un divino, indolente flusso di coscienza la cui prodigiosa bellezza risiede tutta nel suo ipnotico candore. Francesco Nunziata (www.ondarock.it)
"A Crimson Grail" è l'avanguardia che viene suonata da una miriade di gente che non sa nemmeno cosa sia l'avanguardia ma la sa suonare benissimo, e piace a un sacco di gente che non sa nemmeno cosa sia l'avanguardia ma la riesce ad apprezzare benissimo, e certe facce dei suonatori, maschi, femmine, di tutte le età, facce intelligenti e facce di cazzo lasciano trasparire proprio una goduria nel suonare quello che stanno suonando, e per tutti questi fattori quello che ne esce è musicalmente esaltante e concettualmente giusto, sano e portatore di un messaggio meraviglioso.
Tutto questo per dire: e se lo scarso gradimento delle masse nei confronti della musica d'avanguardia fosse una mera questione di scarsa partecipazione? Nicola Mazzocca (www.ondarock.it)
Nei pochi minuti proposti all'ascolto degli studenti dell'Arnaldo, forse si può cogliere non solo stupore, ma anche commozione, il senso di chi ha scoperto che la musica si può fare.
Anzi, che si deve fare, liberandosi dal fardello di quattrocento anni di tonalità e di cento anni di atonalità, recuperando il suono in quanto tale, il suono a cui tutti, anche se non vogliamo, dobbiamo partecipare. E allora tanto vale partecipare attivamente.
E la proposta di Flavio che gracchia suoni elettrici che si sviluppano come versi di leoni marini, o di Clara che sospende suoni su un pianoforte usato in modo aleatorio, ci sono di conforto.
Forse possiamo fare musica a cui tutti possono partecipare.
La musica contemporanea non la si capisce solo se non la si fa.
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